E’ ormai risaputo da secoli che le, come le caratteristiche fisiche, anche quelle psicologiche vengono trasmesse dai genitori ai figli.
In ciascuno di noi ci sono dei tratti che possono essere riconosciuti nei nostri avi o in altre persone familiari. E’ ciò che viene comunemente definito “sangue”. Questo passaggio di modelli comportamentali è di fondamentale importanza per la costruzione di una propria storia familiare: se elaborati, i vissuti e le esperienze che passano di generazione in generazione permettono il naturale sviluppo della persona e costituiscono una base per orientarsi nel mondo. Nel caso dei traumi transgenerazionali, i vissuti trasmessi attraversano tra le generazioni senza essere elaborati e trasformati. Ciò che passa dal genitore al figlio è qualcosa che non può essere detto, non può essere nominato e diventa un segreto impensabile.
Il trauma transgenerazionale è come una casa antica, le cui fondamenta sono state scosse da terremoti nel corso dei secoli, ma di cui non può parlare. Ogni generazione che vi ha abitato ha aggiunto un pezzo, ha riparato una crepa, ha ricostruito un muro, ma le fondamenta restano quelle originarie, segnate da fratture invisibili ma profonde. Ogni volta che c’è stato un cedimento, una crepa, o un crollo parziale, la famiglia ha fatto del suo meglio per riparare i danni e andare avanti, magari aggiungendo nuove stanze o rinforzando alcune pareti. Ma, nonostante tutti gli sforzi, le fratture nelle fondamenta rimangono lì, nascoste alla vista ma presenti, influenzando la stabilità della struttura.
L’eco del trauma intergenerazionale
Questa è l’essenza del trauma transgenerazionale. È come un’ombra che si allunga attraverso le generazioni, un’eco di eventi passati che risuona nel presente. Ogni membro della famiglia che nasce e cresce in quella casa sente, in qualche modo, l’effetto di quelle fratture. Anche se non riesce a vederle direttamente, ne avverte la presenza, come una tensione costante, un senso di precarietà che pervade l’ambiente.
Nel contesto della mente umana, i traumi transgenerazionali sono ferite emotive che non riguardano solo chi li ha vissuti direttamente, ma che si trasmettono ai discendenti attraverso comportamenti, attitudini e persino strutture genetiche. Una madre che ha vissuto la guerra può trasmettere al figlio non solo racconti dolorosi, ma anche un senso profondo di ansia e vulnerabilità. Questo figlio, crescendo, potrebbe passare, senza rendersene conto, la stessa inquietudine ai propri figli, e così via, creando un ciclo difficile da spezzare.
Questo trauma non si manifesta sempre in modo evidente. A volte, è un’inquietudine silenziosa, una predisposizione alla paura o alla sfiducia che si trasmette da una generazione all’altra. Altre volte, emerge in comportamenti ripetitivi, in schemi di relazione disfunzionali, in difficoltà emotive che sembrano non avere una causa immediata. Una persona potrebbe sentirsi inspiegabilmente ansiosa o triste, senza rendersi conto che sta portando dentro di sé il dolore di una generazione passata. Alcuni compiono atti o pronunciano frasi “come se non fossero loro”, ovvero come se qualcuno agisse attraverso di loro e così il trauma rimane come bloccato nel sistema. Ci sono, così, intere generazioni connesse dagli effetti silenti di uno stesso trauma passato.
Tutte queste manifestazioni sono legate a quelle fratture profonde nelle fondamenta, alle ferite del passato che, nonostante tutti i tentativi di riparazione, continuano a influenzare il presente. E così, vivere in quella casa significa convivere con l’eredità di queste fratture. Significa cercare di costruire qualcosa di nuovo e di stabile su una base che, per quanto rinforzata e migliorata, porta ancora i segni di traumi antichi.
Risanare le generazioni connesse dal trauma
Il primo passo per affrontare questi traumi è la consapevolezza. Riconoscere che le proprie emozioni e reazioni potrebbero avere radici più profonde è fondamentale. È come accendere una luce in quella casa antica, illuminare le crepe nascoste e iniziare a comprenderne l’origine. Un professionista può essere uno strumento potente in questo processo: può aiutare a tracciare una mappa di queste ferite intergenerazionali, a dar loro un nome e a trovare modi per trasformarle. Non si tratta di cercare colpevoli, ma di trovare un filo rosso che unisce le esperienze di chi ci ha preceduto alle nostre. Comprendere che il dolore non è isolato, che fa parte di un racconto più ampio, può offrire una prospettiva nuova e liberatoria. È un viaggio complesso, ma ogni passo verso la consapevolezza è un atto di amore verso se stessi e verso le generazioni future.
Ricostruire quelle fondamenta richiede tempo e pazienza. Non si tratta solo di riparare le crepe, ma di riscrivere la storia di quella casa, di trasformare un luogo segnato dal dolore in uno spazio di speranza. In questo processo, ogni individuo ha il potere di interrompere il ciclo, di creare un nuovo inizio. Risanare i traumi intergenerazionali non è solo una questione di benessere personale, ma un dono che si trasmette ai figli, ai nipoti, e a tutte le generazioni a venire. Significa affrontare e riconoscere l’ombra del passato, per cercare di trasformarla in una forza di consapevolezza e resilienza per il futuro.
Bibliografia
⦁ Freud S., Totem e tabù. Tr. It. Opere, vol. 7. Boringhieri, Torino 1975
⦁ Corigliano N., A.M, Il transgenerazionale tra mito e segreto. Interazioni n.1/1996, FrancoAngeli, Milano.
⦁ Disanto A. M., Le ninna nanne: strumenti e simboli del transgenerazionale., in Alla ricerca della informazioni perdute. L’inespresso transgenerazionale come vincolo alla crescita., a cura di F. Pergola, FrancoAngeli editore, 2011